Iran

Puntata 4

Restare a galla

La comunicazione telepatica ghaliana è uno strumento utilissimo, in particolare quando, come è accaduto per questa doppia missione, Mega e Bit sono costretti a separarsi. Anche se si trovano in due paesi agli antipodi della Terra (o quasi) possono raccontarsi cosa sta accadendo in tempo reale. 

“Quindi state uscendo in mezzo alla protesta?” chiede Mega dopo aver sentito il resoconto di Bit su cosa sta accadendo in Iran. È parecchio preoccupata, a dirla tutta. E deve esserlo anche lui, a giudicare dalla risposta veloce e asciutta.

“Sì. Non c’è altro modo”. Poi cambia argomento. “Il tuo piano invece? Sei convinta che possa funzionare?”. Mega sta camminando veloce verso la scuola media di Sophie.

“Ci provo” dice a Bit. Poi fa un sospiro.

“Ora devo andare. Siamo quasi vicino al carcere” dice Bit dall’altra parte del mondo.

“Per favore, fai attenzione” sussurra Mega, non solo con il pensiero ma a mezza voce. Vorrebbe sapere il suo amico al sicuro. Anche se lo prende sempre in giro perché è un precisino noiosino, il pensiero di rimanere senza di lui le fa così tanta paura che all’improvviso sente un freddo tremendo in tutto il corpo. Si stringe forte nella giacca.

“Tranquilla. A presto” risponde Bit. Poi, la comunicazione telepatica si chiude.

Intorno a Bit, le strade di Teheran sembrano quasi in festa. Se non sapesse cosa sta avvenendo, a una prima impressione penserebbe proprio a una festa, osservando i cortei colorati e vivaci, la gente che corre da una parte all’altra, le voci forti e squillanti. Ma le parole che escono dalle loro bocche non sono festive, ma arrabbiate, esauste. Nei volti di ogni uomo, donna, bambino che incontra, vede la paura delle rappresaglie della polizia, la stanchezza per la situazione. E più di tutto il resto, la determinazione, la rabbia. La stessa forza che legge negli occhi di Malia, mentre lo guida sicura fra i vicoli dove è cresciuta, che conosce tanto bene. Oltre il panettiere, attraverso i giardini, verso la prigione di Evin. Dalle ultime notizie, sa che e dove vengono imprigionati gli oppositori del governo. Non ne è certa, ma è lì che potrebbe essere rinchiuso suo padre. Ed è lì, quindi, che si potrebbe trovare anche la mamma. 

Finalmente arrivano a destinazione. I muri della caserma sono grigi, scrostati. Macchie scure scendono come lacrime sull’intonaco. Poche finestre, la maggior parte con spesse grate di ferro. Tutt’intorno, come onde di un mare in tempesta, un mare furibondo, la gente si spinge contro le sue pareti. Gridano, chiedono che i loro cari, arrestati dalla polizia, vengano lasciati liberi. Invocano giustizia per le loro sorelle avvelenate a scuola. Poliziotti in tenuta antisommossa escono dal portone principale, sfollagente e pistole nei cinturoni. Ma il mare di persone non ha paura: come una marea, si getta contro di loro, cerca di superare la polizia e di penetrare nel carcere. Le urla si levano altissime. Bit stringe forte la mano di Malia, paralizzato dal terrore: nonostante tutti gli addestramenti che ha seguito su Ghalis, per diventare agente speciale, non è preparato a quello che ha davanti agli occhi. Pensa a Mega, alla sua voce preoccupata quando, poco fa, si sono aggiornati sulle rispettive missioni. Spera che non si sia accorta di quanta paura ha, non la vuole preoccupare. Ma è davvero spaventato.
Malia si sposta di lato lungo il perimetro dell’edificio. Chiama sua madre, cercandone il volto fra la folla, ma la voce, nel frastuono di quella lotta estenuante, si perde come nel vento. Un paio di ragazzi, poco più grandi di loro, li urtano passando loro accanto. Bit inciampa e cade, la polvere secca e nera della strada gli finisce nella bocca e nelle narici. Poi, sente la mano calda di Malia trascinarlo via, al sicuro, verso il retro dell’edificio, al di sotto di una piccola finestra, dove la folla non è ancora riuscita ad arrivare. “Stai bene?” gli chiede. Bit tossisce e fa di sì con la testa. Poi si alza, lentamente. Senza Bling, pensa, non potrà attivare la modalità Cercaterrestri. Non può trasformarsi per proteggere Malia, o la copertura salterà, e non può certo violare il protocollo. Ma come troveranno i genitori di Malia in un simile inferno? Non è stato abbastanza prudente, pensa. Non era preparato a sufficienza. Come ha potuto essere così ingenuo? Un nodo gli si stringe in gola. Alza la testa e incontra gli occhi di Malia. A un tratto, sono pieni di lacrime. Si sente ancora peggio. Ha fallito nel proprio dovere di agente segreto ghaliano. E ancora peggio, non sa come aiutare un’amica, una persona che ora si sente sola, persa e sconfitta. Ed è questo, a fargli male più di tutto. L’affetto che ormai lo lega a Malia lo fa soffrire insieme a lei.

 

“Mi dispiace tanto, Malia. Mi dispiace che stia succedendo proprio a te una cosa così brutta. E che io non possa fare niente per impedirlo”. Malia si avvicina, ma sembra quasi non sentire. Guarda fisso un punto alle spalle di Bit. Le lunghe ciglia si aprono e chiudono, lasciando scivolare sulle guance il pianto. Allora anche Bit si volta. Appena dietro di lui, oltre la grata spessa di una finestra, nella penombra, si staglia il profilo di un uomo dagli occhi neri, e grandi. Lo stesso sguardo dolce e forte. Capisce ancora prima di sentire il grido dell’amica. “Papà!”. Malia corre verso la finestra, urla, ripetendo ancora, quasi come ipnotizzata “Papà, papà, papà!”. Si attacca alle sbarre con le mani dalle dita sottili, con le unghie, e tira, tira con tutte le sue forze, come se le potesse spezzare. “Amore mio. Malia. Ferma, ferma. Così ti farai male” dice l’uomo. La sua voce è gentile e sicura, ma Bit si accorge che trema. Malia alza gli occhi, suo padre le sorride con un sorriso triste, ma sicuro. “Non la puoi aprire”. Poi allunga le braccia, come a volerla sollevare per stringersela al petto, per abbracciarla. Ma dallo spazio fra una sbarra e l’altra passano soltanto le dita di una mano. E allora Malia allunga la sua, afferra saldamente quella di suo padre. Chiude gli occhi, e ondeggia con il corpo, senza mai lasciare la presa, la presa calda di papà, e sogna di avere ancora cinque anni, di essere a Chalus, davanti al mare. Quel rumore è soltanto il vento. Finchè la stretta di suo padre la culla, non dovrà avere paura. Poi, le grida e gli spari, sempre più vicini. “Dobbiamo andare!” le urla Bit. Anche lui, quasi senza accorgersene, ha cominciato a piangere. Malia scuote la testa, sempre più forte. “Amore mio, la tua amica ha ragione. Non potete restare qui. È troppo pericoloso”. “No, io non ti lascio!” grida Malia. Suo padre allunga la mano, con sforzo, fino a riuscire a toccarle il viso. “Nemmeno io, tesoro. Nemmeno io ti lascio, promesso. Qualsiasi cosa accada, noi siamo sempre insieme. Tornerò a casa”. Malia annuisce, singhiozza più forte. Poi lascia la stretta, e si lascia cadere fra le onde feroci della protesta, mentre Bit, correndo a perdifiato, la trascina via, lontano dalla folla. Corrono, portata dalla marea della gente, sballottate da urla e corpi in tempesta. Finché una figura dai lunghi capelli castani li blocca, li spinge a forza in un vicolo, senza parlare. Entrambi gridano, in preda al terrore, prima di accorgersi che si tratta della madre di Malia. La donna li stringe, tremanti. “Tranquille, qui siamo al sicuro. È tutto finito” mormora, ma i bambini ormai non riescono a crederle. Madre e figlia piangono, guardandosi negli occhi. Bit distoglie lo sguardo: i loro volti fanno troppo male.

Quando Mega arriva a scuola, la campanella dell’intervallo è appena suonata. Nel cortile i ragazzi si rincorrono, vociando felici. Ma Sophie è in un angolo, sbocconcella il suo panino con l’aria triste. Mega si mescola fra gli studenti e la raggiunge. Quando vede la sua nuova amica, lo sguardo di Sophie si illumina. “Isa!” esclama. “Ma… non puoi portare il velo a scuola” dice poi, guardandole la testa. “Beh, qui non siamo dentro la scuola, no?” fa Mega con un sorriso furbo. “Vieni con me” le dice poi. “Voglio conoscere i tuoi compagni di classe” continua, prendendola per mano. “No, io con loro non ci voglio più parlare” protesta Sophie puntando i piedi a terra. “Vedrai, faremo cambiare loro idea” risponde convinta Mega, facendole l’occhiolino. In realtà non sa se l’idea che ha avuto possa davvero funzionare, ma vale la pena provare, comunque. I compagni di Sophie sono radunati in cerchio poco lontano, alcuni seduti su una panchina con le gambe penzoloni. Non sembrano dei ragazzi cattivi, pensa Mega. Si saranno resi conto del male che le loro parole hanno fatto a Sophie? “Ciao” esordisce, facendosi strada fra i ragazzi e tirandosi dietro l’amica. “Io sono Isa, sono della 2 B”. Qualcuno le lancia degli sguardi sospetti. Ma lei continua tranquilla.
“Io e Sophie siamo amiche, andiamo nella stessa moschea. Siete mai stati in una moschea?” Molti scuotono la testa. “Figurati! Dove si trovano i musulmani terroristi io non ci vado” dice un altro con la voce da gradasso. Sophie quasi si mette a piangere: è lo stesso che alla festa di Manon ha tentato di strapparle via il velo. Qualche altro compagno ridacchia.
“Questa è una cosa molto stupida da dire. Non siamo affatto terroristi. Questo è un pregiudizio” spiega Mega. “Un che?” “Un giudizio che si formula prima di conoscere davvero una cosa, o una persona. Per esempio, voi conoscete Sophie da qualche mese. Sapevate che era musulmana prima di vederla con il velo alla festa di Manon?” “Sì” ammettono le voci.
“E vi stava simpatica, no? La sua religione per voi non era un problema” “Beh sì, certo, è una ragazza molto gentile”, commentano un gruppetto di ragazze con ciocche di capelli colorati. “Giudicarla perché fuori da scuola, dove può esprimersi come vuole, porta il velo, è un pregiudizio. Perché voi non le avete mai chiesto come mai ha deciso di portarlo, o cosa rappresenta per lei. È lei che ha deciso di indossarlo, no Sophie?” Sophie, che fino a quel momento è rimasta immobile, con lo sguardo basso, stringendosi nelle braccia, alza gli occhi. “Sì. Ed è parte di me. È come se voi foste giudicate per i capelli colorati” dice, facendo un cenno alle ragazze vicine. “O perché tu, Manon, ti vesti sempre di nero. O tu, Marie, perché porti al collo una croce d’argento, dato che sei cattolica”.
I ragazzi tutt’intorno ora sembrano imbarazzati. Ma qualcuno continua a protestare.
“Beh ma lo dice il Corano che ti devi mettere il velo, non è una libera scelta, no?” “Questo non è vero affatto!” protesta Sophie. Ed è allora che Mega apre la grande borsa di carta che porta appesa al braccio. “Voi l’avete mai letto il Corano?” chiede, tirando fuori tanti piccoli libri decorati. Insieme a Bling, la scorsa notte, ha svolto una lunga indagine sul testo sacro dei musulmani, sottolineando tutte le parti che riteneva importanti. Quelle che riconoscono l’uguaglianza di uomini e donne, il loro diritti civili, l’importanza di rispettarle. Ha stampato i testi di alcune studiose, le cosiddette femministe islamiche di cui le ha parlato Sophie, che pensano che la religione sia uno strumento che possa aiutare e sostenere la liberazione delle donne. E ora li distribuisce a tutti i compagni di scuola di Sophie. Leggono e commentano insieme i testi, mentre Sophie, più esperta, spiega loro i passaggi più complicati. Prima timida, poi sempre più fiera e convinta. “Wow! Non sapevo che l’Islam comprendesse tante cose interessanti!” esclama una ragazza.
“Sophie, scusa se ti abbiamo presa in giro. Non pensavamo di ferire così tanto i tuoi sentimenti” commenta un altro. Certo, qualcuno di loro non cambierà idea, continuerà con i propri stupidi pregiudizi, pensa Mega osservando un gruppetto ristretto di ragazzi che ridacchia e lancia a terra le pagine che ha procurato loro senza nemmeno aprirle, per poi correre via a giocare. Ma molti altri, invece, si comportano già diversamente. “Soph, mi racconti della moschea?” chiede timidamente Manon avvicinandosi a Sophie. Poi le prende la mano. “Mi spiace che tu qui a scuola non possa portare il velo. Non avevo capito quanto per te fosse importante”. Sophie fa un sorriso enorme, radioso, e stringe la mano di Manon. Sì, pensa Mega, anche se non è riuscita a far cambiare idea a tutti, anche se non può cambiare la legge francese e permettere a Sophie di indossare il suo velo come e quando vuole, sente che la sua missione è compiuta. E sgattaiola via silenziosamente, mentre Manon e Sophie si stringono in un abbraccio. 

“Non è strano?” chiede Mega a Bit con la comunicazione telepatica. Seduta su Link, sta rientrando alla base. “Cosa?” risponde Bit, che proprio nello stesso momento sta volando sul mare. “Queste due missioni. Sono state così diverse. Ma anche così simili”. Bit riflette. I disordini del corteo, per fortuna, si sono sedati, e la madre di Malia, dopo averle ritrovate, le ha accompagnate a casa. Lì, Bit le ha dovute salutare. La missione non era del tutto compiuta: Malia aveva ritrovato entrambi i suoi genitori, vero. Ma il suo papà era ancora in carcere. Eppure, senza Bling, con la riserva di energia ghaliana pericolosamente bassa, non poteva rischiare di venire scoperto e non aveva i mezzi necessari per agire. Era necessario tornare alla base per ricaricarsi. Almeno Malia, lì con la mamma, era al sicuro.
“Sì, capisco cosa vuoi dire. In un certo senso, è proprio vero” dice. Per questo è molto fiero dell’idea che ha avuto. Quando è stato il momento di dire arrivederci a Malia, l’ha stretta forte a sè. “Saremo mai libere?” ha sospirato la ragazza. “Lo spero. Se dovessi sentirti sola, però, sappi che non lo sei mai” ha detto sussurrando dolcemente le parole all’orecchio dell’amica.                
“Come?” ha risposto lei. Ma Bit si era già mimetizzato nella folla. Nella tasca di Malia, intanto, era spuntata una lettera. La ragazzina l’ha aperta curiosa, e ha letto un indirizzo mail francese. Subito dopo, alcune parole: Mi chiamo Sophie, vivo a Lione e sono musulmana…

 

“Grande Bit. È stata proprio un’ottima idea. Quella di metterle in contatto, intendo” dice Mega. Già: così lontane ma così vicine. Spera proprio che Sophie e Malia, anche se a distanza, diventino amiche, e si possano supportare in questi momenti difficili. Anche se le loro storie sono diverse, entrambe, vogliono soltanto una cosa: essere libere di scegliere. Loro, pensa mentre Link scende verso l’isola dove è nascosta la base segreta, le terranno d’occhio, per intervenire di nuovo se necessario. Vede Bit, sotto forma di aeroplano, planare verso terra. Che bello, non vede l’ora di riabbracciare il suo amico. Ha avuto davvero paura per lui, questa volta. Non si separeranno mai più per una missione, pensa convinta mentre gli corre intorno. Bit intanto ha ripreso le sue solite sembianze. I due alieni chiacchierano vivaci. Entrambi sono tristi per non aver risolto completamente i problemi delle due bambine che hanno chiesto loro aiuto, ma molto felici di essersi ritrovati. “Abbiamo così tanto da dirci! In Iran…” comincia Bit, ma una voce sconvolta lo interrompe. “Come hai fatto a trasformarti? Sei…sei magico? Che cosa sei?!”. Il grido allarmato proviene da una ragazzina in costume, dai lunghi capelli castani, con una ciocca colorata di viola, che gocciolano sulla sabbia. Accanto a lei, una piccola canoa arancione rovesciata. Mega e Bit si guardano terrorizzati: sono stati scoperti! Ma chi è questa strana bambina, e che ci fa sulla loro isola segreta?

 

Approfondimento

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